Nessuno tocchi lo zio Orco
Walter Mendizza – Nessuno tocchi lo zio Orco – (Notizie Radicali)
E’ davvero disarmante l’ipocrisia nei mezzi di comunicazione del nostro Paese: la patologica e morbosa curiosità “di massa” che ha scatenato il caso Sarah Scazzi ci sta dando la cifra. E sono proprio i media giacché si occupano e si preoccupano di criticare il “turismo dell’orrore” riferito alle centinaia di persone che si recano ad Avetrana come a una scampagnata. Ma da che pulpito viene la predica? Non sono proprio i mezzi di comunicazione di massa in primis a dedicare decine di ore e fiumi di inchiostro a questo caso? Disapprovano il turismo di massa e poi si piantano lì con telecamere e giornalisti ad interrogare parenti e amici di famiglia. Non è la stessa cosa? Anzi, non è peggio? Peggio perché accadono migliaia di cose losche attorno a noi che ci riguardano direttamente, dalle firme false raccolte da Formigoni, alle carceri che scoppiano, dall’allarme corruzione della Corte dei Conti al rapporto debito/Pil, ai cantieri fermi, alla ricerca bloccata, alla bassa produttività, all’evasione fiscale, ecc. Ma di tutto questo, i nostri media sono colpevolmente silenti.
Certo, il caso Sarah sembra la trama di un thriller per come è stato montato: zeppo di suspense e colpi di scena, con indizi disseminati tra un TG e l’altro e narrazioni mozzafiato. Il racconto dei fatti centra in pieno tutti gli aspetti tipici del thriller, un plot collaudato fatto di assassini senza scrupoli, descrizioni crude e scene truculente, in cui la morte e la violenza, sono gli ingredienti principali. Tuttavia tutto questo è abbastanza ricorrente nei media, che ciclicamente ripropongono il mostro in prima pagina, ma si tratta di un dispositivo freddamente pensato a tavolino, come accade con le minuziose descrizioni delle mamme assassine: vi ricordate di Maria Patrizio? Il racconto di come stava nel carcere di San Vittore, in piena estate con oltre 30 gradi in cella e lei intabarrata sotto una sfilza di coperte e la filastrocca a mo’ di ninna nanna, tra lacrime e singulti: “ho freddo, voglio morire; è tutto inutile se Mirko non c’è più”… E mamma Monica Cabrele? Quella che questa estate ha ucciso il figlio Alessandro di due anni con centoquaranta coltellate. E Vanessa Lo Porto, 31 anni, la casalinga di Gela? Quella che in aprile uccise i suoi due bambini, annegandoli. Questi casi fanno sempre scalpore e non c’è pietà che tenga, nessun sentimento di compassione, the show must go on, lo spettacolo deve continuare, è la legge del business, bellezza. Le descrizioni morbose aumentano sia la tiratura dei giornali sia i telespettatori in tv: il caso di Sarah con la drammatica comunicazione alla madre in diretta che la figlia era morta, è stato l’apoteosi dell’oscenità.
Ma la celebrazione maggiore dello sconcio, l’esaltazione più grande dell’indecenza, il trionfo più raccapricciante della volgarità televisiva avviene dopo, nei giorni successivi, quando i conduttori sfruttano la tragedia per aumentare l’indice di gradimento della propria trasmissione. Se la drammatica comunicazione alla madre in diretta poteva al limite anche starci giacché la notizia stava venendo fuori ed i giornalisti cominciavano a telefonare alla povera mamma ignara, il “day after” invece no. I giorni seguenti avrebbero dovuto risparmiarci quei dibattiti televisivi con tutta quella gente, quei personaggi, sempre gli stessi, che dicono sempre le stesse cose. Psicologi e psichiatri che pontificano senza conoscere i protagonisti della vicenda. C’è qualcuno che può azzardare una spiegazione sul perché una mamma può diventare un’assassina o uno zio può diventare un orco?
La “depressione post partum” per le mamme o la pura follia per lo zio di Sarah o la psicosi bipolare per la casalinga di Gela, sono solo nomi che apponiamo alla nebbia del gesto inspiegabile. Cosa sono queste malattie? Come le si misurano? Quante mamme ancora e soprattutto quanti bambini ancora dovranno morire prima di capirci qualcosa? Quanti ragazze ancora dovranno essere strangolate per mani di famigliari assassini? Quanti bambini appena partoriti dovranno essere buttati nei cassonetti? Intendiamoci, non è un problema solo italiano. Esiste dappertutto. In altre parti del mondo si scoprono scene ancora più raccapriccianti: bambini torturati, o seviziati o abbandonati e con le braccia o le gambe mangiati dai topi. Bambini dalla pelle piena di vesciche dovute al fatto che vengono utilizzati come posacenere su cui si spengono le sigarette… quella pelle che dovrebbe essere amata, coccolata e curata con cremine, profumi e talco, una pelle color rosa che invece è, purtroppo, rosa dalle piaghe.
Noi di Trieste, purtroppo, qualcosa la sappiamo e ce la ricordiamo. La domanda che fece Moncini “cosa succede se il giocattolo si rompe?” rimarrà per sempre impressa dentro la nostra anima. Una stigmate, un marchio a fuoco. E non sono, purtroppo, casi isolati. Anzi, in verità i casi sono tanti, solo che quelli che emergono sono la punta dell’iceberg, selezionati a tavolino per evitare l’assuefazione. Gli esperti dichiarano che ogni anno si possono mettere in conto nel nostro Paese circa una dozzina di casi di infanticidio. Un’agghiacciante statistica alla quale, purtroppo, non ci si sottrae per la legge dei grandi numeri. Una statistica che ci dice quanti ma non quali e tanto meno perché.
Delle decine e decine di mamme assassine e di famigliari orchi, in realtà non veniamo informati; ogni tanto i media selezionano una notizia e su questa si accaniscono e ci dicono tutto, come con la super televisiva Annamaria Franzoni di Cogne. Adesso è il momento della famiglia di Sarah. Domani sarà il momento di qualcun altro. Ma dietro tutti questi casi, televisivi e no, c’è sempre una mamma, uno zio, una cugina. Un famigliare insomma, uno di quei famigliari di cui i giornali e le televisioni ci parlano come malati ma che fino al giorno prima poteva benissimo essere il nostro vicino di casa e noi potevamo benissimo essere a cena da lui. Il giorno dopo, invece, l’opinione pubblica diventa opinione pubblicata: quello che sembrava un tranquillo vicino è invece un orco, un diavolo senz’anima, e quella che appariva come una pacifica cuginetta, una strega maligna. Così ci vogliono far cadere in quel imperscrutabile abisso in cui si mescolano il niente e l’assoluto. E con giri di parole e filosofia da bignami ci danno a bere una violenza agghiacciante ricoperta di ipocrisia e ignoranza; ci menano per il naso e ci fanno scattare un sentimento di repulsione. Da lì a chiedere la “pena di morte per lo zio animale”, il passo è breve. Cosa centrano poi i poveri animali in queste vicende unicamente umane, non è dato sapere. Quello che è noto è che le piazze non sono interessate ai distinguo.
In questo bignami di ipocrisia da parte dei mezzi di informazione, magari un giorno verremo a sapere che lo zio non era tanto un orco ma solo un po’ orco o piuttosto un (p)orco. Anzi, magari verremo a sapere che non era nemmeno un porco, ma solo una nullità, un personaggio senza spina dorsale, un pusillanime comandato a bacchetta che viveva dentro un gineceo all’incontrario, dove la condizione subalterna non è delle donne ma del marito. Magari verremo a sapere che quel giorno lui non c’era e se c’era, dormiva. Chissà. Chi può dirlo. Ma intanto la piazza l’ha subito condannato. Gli striscioni richiedenti la pena di morte sono là a testimoniarlo. Semmai ce ne fosse bisogno, questo è già un motivo più sufficiente per dare tutto il nostro appoggio incondizionato a Nessuno Tocchi Caino. Marco Pannella vorrebbe aggiungerci al nome dell’associazione radicale, anche quello di Saddam ed io proporrei di aggiungere anche quello di Misseri. Nessuno Tocchi lo Zio Orco… Sarebbe un modo per fare avere agli italiani uno spasmo di coscienza, un conato di consapevolezza che, purtroppo, si manifesta appena e poi subito se ne va. Ogni volta, condanniamo in fretta il mostro del momento, che sia la malvagia mamma o la spietata cugina o lo zio “animale” non importa. Subito lo condanniamo e poi lo dimentichiamo. Fino alla prossima volta, al prossimo orco. Ci dimentichiamo che le atrocità e le miserie cominciano da essi stessi.
Non stiamo qui a giustificare le loro azioni, vogliamo solo comprendere quanto accade, vogliamo un maggior protagonismo di Nessuno Tocchi Caino e non da improvvisati psicologi della domenica, non il giorno dopo, non quando si vogliono innalzare gli indici d’ascolto, non quando c’è il fattaccio di cronaca. Vorremmo capire quale profonda radice marcia proveniente da noi stessi alimenta questa frenesia omicida. Qual è il mondo sessista e impietoso che fa di uno zio qualunque un crudele e spietato aguzzino o di una mamma qualunque una mostruosa vergogna o di una cugina qualunque un feroce obbrobrio. Qual è la violenta e disumana turpitudine nella quale anneghiamo i bambini e strangoliamo le fanciulle. Nel mentre, teniamo alta la bandiera radicale e che nessuno osi toccare lo zio orco.
Trieste 26/10/2010