Il capitalismo predatorio e la peste italiana

WALTER MENDIZZA: Ligresti: il capitalismo predatorio e la peste italiana (Notizie Radicali)

17-11-2010 Prima di avventurarci a descrivere la finanza rapace di Salvatore Ligresti, prenderò da Wikipedia un piccolo decalogo di informazioni, utile a tratteggiare il personaggio: 1) Salvatore Ligresti è un imprenditore siciliano nato a Paternò (Catania) il 13 marzo del 1932. Si laurea a Padova in ingegneria e si trasferisce a Milano, dove divenne ben presto uno dei principali immobiliaristi; 2) Nel 1992 risultò coinvolto in Tangentopoli, quindi venne arrestato e condannato per tangenti. Dopo aver patteggiato 2 anni e 4 mesi con la giustizia, affidato ai servizi sociali, torna all’attività di costruttore; 3) Ligresti ha presentato domanda di ritorno allo stato di incensurato, grazie ad una norma che fa tornare immacolata una fedina penale sporca quando siano passati almeno cinque anni dall’espiazione della pena e il pregiudicato «abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta».

Il Tribunale di sorveglianza di Milano nel Settembre 2005 ha accolto la sua richiesta; 4) Ligresti ha tre figli: Giulia Maria, Gioacchino Paolo e monella; 5) Partecipazioni imprenditoriali: a) La holding Premafin Finanziaria Spa Holding di Partecipazioni, controllata da un patto di sindacato stipulato tra società riconducibili a Salvatore Ligresti e ai suoi tre figli, è quotata sulla Borsa Italiana. b) Il gruppo Starlife controlla il 17.613 per cento della finanziaria tramite Sinergia Holding di Partecipazioni Spa (10,112 per cento), controllata direttamente da Starlife SA, e Immobiliare Costruzioni IM.CO. Spa (7,501 per cento), controllata da Starlife SA tramite Sinergia. c) I tre figli di Salvatore Ligresti controllano il 29 per cento della società tramite tre holding lussemburghesi: Giulia Maria tramite Canoe Securities SA, Gioacchino Paolo tramite Limbo Invest SA, Jonella tramite Hike Securities SA 1) Ciascuno possiede un 9.687 per cento della società ma tutte le quote sono intestate alla fiduciaria Compagnia Fiduciaria Nazionale Spa. 2) Ligresti è coinvolto nei più ricchi affari urbanistici di Milano (Expo 2015, Fiera e Garibaldi-Repubblica), di Firenze (Castello e Manifattura Tabacchi), di Torino. 3) Nel Novembre 2008 risulta indagato insieme a Gianni Biagi e Graziano Cioni dalla Procura di Firenze per ipotesi di corruzione. La vicenda riguarda il progetto di Castello della città di Firenze; 4) Nel 2004 entra nel consiglio di amministratore della Rcs MediaGroup, società editrice di quotidiani quali il Corriere della Sera e la free press City la figlia Jonella. Sempre attraverso Premafin, la famiglia Ligresti possiede il 5.291 per cento di Rcs MediaGroup e partecipa al patto di sindacato che controlla la società editrice; 5) Ligresti è presidente onorario di Fondiaria-Sai, gruppo assicurativo torinese quotato sulla Borsa di Milano e controllato dalla famiglia Ligresti tramite la holding Premafin Finanziaria Spa Holding di Partecipazioni che direttamente o indirettamente ne possiede una quota del 47 per cento; Ligresti è membro del Consiglio di Amministrazione del Gruppo Unicredit.

La macchina del fango La democrazia è in pericolo perché se ti poni contro certi poteri quello che ti aspetta è un attacco della macchina del fango. Allora prima di criticare ci pensi un po’, e quando questo accade inizia a incrinarsi la libertà.Roberto Saviano (La macchina del fango)

Agli inizi del terzo millennio, la compagnia di assicurazioni SAI di Ligresti mise a segno una serie di obiettivi finanziari. Nel 2002, con la regia di Mediobanca, riuscì ad impedire che la Fiat s’impossessasse di Fondiaria, la compagnia d’assicurazioni fiorentina controllata da Montedison. Così la sua compagnia assicurativa, la Sai, comprò il 6,7 per cento di Fondiaria e s’impegnò a rilevare un ulteriore 22,2 per cento. Il prezzo era esoso: 9,5 euro per azione, ma tanto la cosa non importava a Ligresti in quanto sarebbe stata poi Mediobanca incaricata di trovare i soldi. Solo che la Consob si mise di traverso dicendo che l’operazione era contro le regole: se la Sai voleva Fondiaria, deve lanciare un’Opa trasparente sul 100 per cento del capitale. Una mossa da far inabissare anche il Titanic. Era troppo. Tuttavia Ligresti riesce a reperire una banda di «cavalieri bianchi» (Jp Morgan Chase, Interbanca, Mittel, Commerzbank) guidata dal finanziere Francesco Micheli, che compra il pacchetto di Fondiaria e, a cose fatte, lo gira alla Sai. Visto l’andazzo, alla Fondiaria non resta che fare buon viso a cattivo gioco e accettare la fusione con Sai. Dunque la SAI riuscì a prendersi, nel maggio 2002, la Fondiaria Assicurazioni senza che fosse fatta l’opzione dell’Opa residuale che è obbligatoria per legge. Gli azionisti di Fondiaria fecero causa ed ebbero ragione. Fonsai fu condannata a pagare il differenziale del valore delle azioni ed in più furono multati i vertici del gruppo.

Fu in questo contesto che, nello stesso periodo, la Sai acquisì le compagnie triestine Sasa e Sasa Vita. Un’operazione minore rispetto ai grandi giochi di potere che si sarebbero consumati da lì a poco con Fondiaria. Sai non aveva una lira per poter acquistare il gruppo triestino, così mise in moto la macchina del fango per esagerare i presunti andamenti negativi nel ramo auto di Sasa e riuscire a farsi dare le compagnie praticamente in regalo dalla sprovveduta Cofiri (del gruppo IRI) che di assicurazioni non ne capiva nulla. A Trieste approdarono una serie di figuri di dubbio valore tecnico, alcuni dei quali celavano un turpe banditismo assicurativo. Dato che l’intero gruppo dirigenziale di Sasa fu fatto sparire, io decisi che per quanto mi riguardava era importante documentare quello che era avvenuto. Così nacque lo scritto “Storia di una ordinaria ingiustizia” che pubblicai sul mio sito www.waltermendizza.it nel 2005. Si trattava di un semplice racconto del licenziamento di un dirigente di Sasa Vita (il sottoscritto) ma a parere del management ligrestiano il racconto conteneva un “ingiustificato e diffamatorio attacco all’intero Gruppo Fondiaria Sai”. Accipicchia! E dire che il licenziato ero stato io! Questa “Storia” provocò una sfilza di reazioni rabbiose e sproporzionate da parte del management di Ligresti che si conclusero con un ricorso ex art. 700 c.p.c. dove si richiedeva la chiusura immediata del mio sito internet e in subordine l’eliminazione dello scritto. So di dire cose che appaiono a dir poco allucinanti, ma così è stato.

Dato “l’interesse” dimostrato, era evidente che non si voleva che fosse raccontato alcunché di quella storia. In questo modo, accolsi la richiesta del giudice di eliminare alcune espressioni a tinte forti (del tipo baffetti alla Clark Gable, “satrapo mesopotamico” per intenderci). Questi erano gli epiteti usati come pretesto per far scattare il ricorso ex art 700 chiedendo la chiusura immediata del sito e per affibbiarmi un procedimento penale a mio carico con l’imputazione del reato di diffamazione “perché con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso… offendeva la reputazione“, ecc. Non c’è esempio più lampante di questo per mostrare come funziona la macchina del fango. E’ appena il caso di notare che nella storia raccontata non avevo mai fatto alcun nome! E pensare che venivo accusato da gente mediocre al servizio di uno che nel 1986 venne indagato per corruzione e sei anni dopo, nel ’92 venne travolto da tangentopoli e finì a San Vittore e che le altre vicende giudiziarie le ha chiuse con il patteggiamento. Mi chiesi diverse volte come fosse possibile una cosa simile. Perciò decisi che la storia doveva essere raccontata con più dovizia di particolari.

Così nacque “Cronaca di un licenziamento annunciato” che c’è nel mio sito da quando il giudice mi diede l’ok per tenere il racconto a patto di togliere i baffetti alla Clark Gable, satrapo, e qualche altra cosa che neppure ricordo. Il nuovo racconto è la cronaca del licenziamento di un dirigente di Sasa Vita (il sottoscritto). Tuttavia, quel licenziamento ingiustificato, arbitrario e irrazionale era indice di una ostinazione più pervicace: chi non si adeguava a coprire le malefatte doveva andarsene perché non poteva far parte della camarilla nascente che voleva solo appropriarsi del giocatolo senza alcun interesse industriale. Non una idea, non una visione del business e neppure un interesse di quanto era stato fatto, ma solo povertà di pensiero e totale inettitudine a guardare il futuro e, ovviamente, coprire le malefatte come quelle a riguardo del disastro aereo dell’ATR avvenuto in Kosovo nel 1999. Ora, finalmente, la vicenda è stata incardinata con un esposto davanti alla Procura della Repubblica di Roma, dove peraltro continua il processo penale dei funzionari responsabili tecnici della Società: due hanno optato per il rito abbreviato e il giudizio si è concluso con la condanna alla pena di 4 anni di reclusione ciascuno, mentre per gli altri due il procedimento continua. Profondo Rosso Nella galassia Ligresti, c’è un solo uomo al comando. Ed è Salvatore Ligresti.

Un uomo di talento con capacità finanziarie quasi rabdomantiche. Per difendere il suo vecchio corpo ormai quasi ottantenne anche dalle più piccole delle preoccupazioni si è inventato uno scudo impenetrabile di corifei leccapiedi. I giudizi di disvalore sul management di Ligresti appaiono oggettivi non solo perché accompagnati da congrue motivazioni, ma perché l’incapacità di quel management è venuta progressivamente a galla in una raggiera di comportamenti che hanno messo in luce una mediocrità generalizzata, organizzata per cordate, sorretta da un club di accesso esclusivo di adulatori garantiti dal nome di famiglia e da comportamenti spudorati di portaborse servili. Ad esempio, nel 2006 (ben 5 anni dopo l’espulsione dell’intero quadro dirigente) la nuova consorteria della Sasa ricevette una sanzione record da parte dell’Isvap e ciò costituiva in qualche modo una prima dimostrazione dell’incapacità di gestione che venivo denunciando. Naturalmente le sanzioni continuarono anche negli anni seguenti e in modo sempre più pesante, tanto che tutto il gruppo assicurativo di Ligresti: Sasa, Milano Assicurazioni e la stessa capogruppo FonSai, ebbe l’ebbrezza di scalare la vetta della classifica sanzionatoria, collocandosi nei primi posti. Nell’articolo “Un esempio di brigantaggio assicurativo” riporto la lista di sanzioni ed infrazioni che quella dirigenza di mezzecalze e per di più con le scarpe bucate, riuscì a farsi comminare in pochi anni. Dato che il codice prevede che una condanna definitiva faccia venire meno i requisiti di «onorabilità» indispensabili per guidare una compagnia d’assicurazione, il pregiudicato Ligresti non ha potuto far altro che lasciare tutte le cariche sociali che aveva e farsi sostituire dai figli: Jonella diventa presidente della Sai, vicepresidente di Premafin e unica donna a sedere nel consiglio d’amministrazione di Mediobanca; Giulia siede nei consigli di Sai, Premafin e Telecom, ma è più interessata alle sue borse e accessori in pelle, che disegna di persona e commercializza con il marchio Gilli (v. www.gilli.com); infine Paolo, il figlio minore, è presidente di Sai International e vicepresidente di Atahotel, la società che controlla gli alberghi del gruppo.

Dopo che nel settembre del 2005 il Tribunale di sorveglianza di Milano accolse la sua richiesta di ritornare “vergine” cioè allo stato di incensurato per aver dato “prove effettive e costanti di buona condotta”, Ligresti si è ricostruito la verginità ed è stato riabilitato. Non ha dovuto più angosciarsi per le sue performance giudiziarie, uno scudo umano di ruffiani, lusingatori e cortigiani l’ha reso un sultano a tutti gli effetti. E come tutti i sultani, poco gli interessa delle deficienze, delle carenze, delle inadeguatezze di quanto gli gira attorno. Dunque Ligresti ha messo alla presidenza del CdA del gruppo assicurativo Fondiaria-Sai nato alla fine del 2002 dalla fusione delle due preesistenti compagnie, la figlia Jonella; sì, proprio quella che il 25 luglio del 2007 ebbe la disavventura di essere stata dottoressa per sei ore soltanto, perché la laurea, appena conseguita, le venne subito revocata dal ministro dell’Università, irritato per la facilità con cui spesso in Italia vengono distribuiti i diplomi «ad honorem». Ad ogni modo, ormai Ligresti deve pensarla alla greca, in termini di kalòs kai agathòs, che nella cultura ellenica indicava l’ideale perfetto di bellezza (Jonella) e valore morale (lui in persona), al riparo delle porcate delegate ai suoi galoppini che fanno il bello e cattivo tempo nelle sue controllate, abituati anche loro ad attorniarsi di barboncini dal pensiero unico conformista come simpatico repertorio di una classe dirigente che non sa fare nulla tranne il gioco delle tre carte con gli assets delle loro compagnie per camuffare costantemente le casse dell’impero di famiglia che sono in profondo rosso.

Certo che qualcosa si dovrà pur muovere nella galassia Ligresti che ha un estremo bisogno di liquidità per raddrizzare i conti in profondo rosso. La sola Fonsai ha chiuso il 2009 con un rosso di quasi 370 milioni, dopo che nel 2007 aveva chiuso con un utile di 620 milioni e nel 2008 tale utile era sceso a 90 milioni. Ha dovuto rinegoziare i debiti della cassaforte di famiglia (Sinergia) e sciogliere la partnership con Bpm, ma questi sono stati i primi passi assolutamente insufficienti. Dunque si è pensato di vendere gli asset minori in campo assicurativo (Liguria e Sasa) e nonostante il gruppo Sasa sia stato acquisito in regalo dalla Cofiri, oggi ne vuole 300 milioni assieme alla Liguria. Questi sì che sono affari! Si potrebbe pensare che tali compagnie siano state messe in condizioni di correre e competere nel mondo assicurativo; macché … niente di tutto questo. Anzi. Hanno insegnato loro a scalare le veti delle sanzioni amministrative comminate dall’Isvap. Purtroppo i 300 milioni che i nostri furbacchioni richiedono, non basterebbero, perciò si susseguono le voci riguardanti la Milano Assicurazioni (altra pluripremiata in termini sanzionatori, che ha chiuso in rosso per 169 milioni) ma in queste condizioni è ovvio che Ligresti non trovi facilmente acquirenti disposti a pagare tanto per compagnie che non valgono niente, soprattutto per il livello del management che le governano. La verità è che Ligresti dovrebbe pensare ad un intervento al cuore del gruppo cedendo la capogruppo Fondiaria Sai. Prima lo fa e meglio è.

Purtroppo questo non rientra nel suo disegno finanziario. La Sai è una sorta di primo amore: ha avuto il primo pacchetto di azioni in “eredità” da un suo compaesano, Raffaele Ursini, (uno che portò a fallimento il gruppo Liquigas). A dire il vero, non si trattava di un’eredità. Ursini, dopo il crac, scappa in Brasile, lasciando il prezioso malloppo nelle mani dell’amico fidato. Non riuscirà più a ritornarne in possesso. Per Ursini, si trattava di una «vendita simulata»: il 20 per cento regalato, il 10 ceduto con la formula del «patto di riscatto». Ma Ligresti la raccontò in modo diverso: le azioni furono da lui regolarmente acquistate e pagate. Una sentenza, dopo un contenzioso iniziato nel 1988 e durato anni, gli diede ragione. Adesso Ligresti è di nuovo nei guai finanziari e per venirne fuori cerca di vendere il vendibile: per Sasa e Liguria chiede, come già detto, 300 milioni, è una mission impossibile. Non gli resta che cercare di vendere una quota di minoranza del gruppo FonSai, ma anche questa è impresa impossibile. Nessuno sarebbe disposto a sganciare un mucchio di quattrini ed accettare che il controllo resti in mano alla famiglia Ligresti. Soprattutto perché nel corso degli anni hanno dimostrato di non saperci proprio fare nel mondo assicurativo. Le dismissioni minori abbiamo visto che non risolvono il problema. Il gioco delle riserve Il 19 febbraio del 2004, il giornalista Riccardo Sabbatini chiese a Marchionne (a.d. di FonSai): “Anche quest’anno l’utile della società sarà influenzato dalla volatilità delle riserve tecniche la cui riduzione lo scorso esercizio rese possibile il raggiungimento di un utile netto?”.

Una domanda insidiosa e micidiale che contiene il sospetto tremendo che gli utili della compagnia siano manovrati “ritoccando le riserve”. Un reato. Non starò a spiegare in questa sede la pericolosità di questo comportamento e come avviene tecnicamente il fenomeno, basti sapere che si tratta di una porcata. Anzi. Nel mondo assicurativo è la madre di tutte le porcate. Per la cronaca, il pupillo di Ligresti di fronte alla capziosa domanda, non si scompose e in modo altrettanto subdolo diede una risposta sibillina: “le riserve saranno stabili, adeguate alla posizione che la compagnia ha raggiunto nel mercato”. Tuttavia la cosa non nasceva lì, già l’anno precedente nella prima semestrale post-fusione ci fu una diminuzione del saldo tecnico nel ramo danni che passò da 271 milioni del primo semestre 2002 a 166 milioni del primo semestre 2003, dovuto al prelievo una tantum di 160 milioni effettuato nel 2002 sulle riserve (operazione provvidenziale per consentire di chiudere l’esercizio in utile). In aprile del 2007 il titolo FonSai viene sospeso per eccesso di rialzo e dopo essere stato riammesso salta ai massimi assoluti, oltre 40 euro, sospinto da voci assolutamente infondate di un’Opa sulla compagnia da parte della famiglia Ligresti.

Il titolo inoltre era balzato perché il management aveva dato indicazioni che il costo medio dei “sinistri riservati” era salito del 5,3% a fronte di un “costo medio del pagato” del 4,4%. Si trattava di una indicazione che significava che la compagnia avesse calcolato le riserve sinistri con una certa “larghezza” e cioè che ci fossero dei margini che eventualmente avrebbero potuto essere liberati negli esercizi successivi. Ancora una volta le riserve vengono usate come una fisarmonica per aggiustare i bilanci, in questo caso, futuri. Insomma, il gruppo che fa capo a Ligresti attinge alle riserve per aggiustare i bilanci senza alcuna remora. E ciò è a dir poco scandaloso. Uno potrebbe dire, passi per la gente comune che magari ignora la delicatezza del tema, ma gli operatori economici? E soprattutto, l’Isvap? Come mai non c’è stato in questi anni nessuno dell’Istituto di vigilanza che abbia mai accennato alla benché minima ispezione per verificare qual è lo stato effettivo delle riserve? Perché si lascia impunemente che le riserve si muovano “a fisarmonica”? Nel ramo vita le riserve si dicono “matematiche” perché seguono formule ben precise e consolidate nel tempo, di conseguenza non c’è il “gioco” delle riserve matematiche, perciò il più delle volte il ramo vita appare quanto meno più “serio”. Per questo motivo la Cofiri mi confidò che avrebbero alienato a Ligresti solo Sasa Danni, non Sasa Vita. Tuttavia così non accadde. Anzi. Evidentemente la SAI aveva montato la panna sulla base di chissà quale documentazione e così la Cofiri finì per “regalarci” come ciliegina sulla torta. Galeotto fu un presunto “gioco” di riserve sinistri di Sasa Danni che, a quanto mi fu dato sapere, furono soltanto calcolate con metodi differenti.

All’epoca, la SAI di fronte alla dissimile metodologia utilizzata, fece finta di scandalizzarsi strappandosi i capelli e facendo terrorizzare i dirigenti di Cofiri, consiglieri di Sasa, che nulla capivano di assicurazioni. Lo sdegno di SAI era calcolato, tipica indignazione farlocca di consumati ipocriti che rinfacciano la pagliuzza nella riserva altrui e glissano sulle travi nelle proprie riserve. Quel vizietto delle Opa A quanto pare l’acronimo OPA (Offerta Pubblica di Azioni) non appartiene al lessico di Ligresti. Nel 2002 la SAI riuscì a prendersi la Fondiaria Assicurazioni senza che fosse fatta l’opzione dell’Opa residuale che è obbligatoria per legge. Quella volta gli azionisti di Fondiaria fecero causa ed ebbero ragione. FonSai fu condannata a pagare il differenziale del valore delle azioni ed in più furono multati i vertici del gruppo. Perché non fu fatta l’opzione dell’Opa residuale che era obbligatoria per legge? Evidentemente Ligresti deve avere più di un santo in paradiso. E tra questi, qualche santo votato al principio del liberalismo economico basato sul “laissez faire”. Ora la storia sembra ripetersi. E’ singolare il ruolo di minoranza di Groupama in Premafin. La compagnia francese sarebbe disposta ad acquistare i titoli pagando in sostanza un premio per il controllo senza ottenere il controllo (!). Sarebbe sciocco pensare che un investimento di centinaia di milioni sia solo finanziario. Dato che in Premafin c’è solo FonSai, l’accordo riguarda la futura gestione assicurativa. L’ingresso dei francesi è condizionato a che tale obbligo non emerga, perciò subito dopo l’immediata euforia il mercato ha capito l’aria che tira e sono avvenute vendite in massa dei titoli FonSai facendo crollare la quotazione.

Tra poco si risolverà il quesito che i francesi hanno posto al momento dell’annuncio dell’operazione, il condizionamento dell’entrata di Groupama all’esenzione dall’obbligo di Opa su Premafin e, a cascata, su Fondiaria Sai e su Milano Assicurazioni. Perciò c’è una richiesta di parere alla Commissione di vigilanza riguardo l’esenzione dall’Opa dopo il riassetto di Primafin che vedrà i francesi di Groupama con un aumento di capitale di 225 milioni. Il peso dei Ligresti sul capitale votante scenderà dal 55 per cento al 34 per cento perdendo la maggioranza assoluta in assemblea, e ciò farà cambiare l’assetto di controllo in Premafin e a cascata in FonSai e nella Milano. Questo cambiamento sarà un bene, solo che gli azionisti non possono essere beffati ancora una volta dagli accordi sottobanco del cementificatore indomito, l’uomo che passava le mazzette direttamente a Craxi propria manu. Se si lascia ancora una volta che avvenga questa esenzione dall’obbligo di Opa vorrà dire che non si riesce a distinguere tra atti liberi e imposizioni violente. Dopo tutte le porcate fatte, dopo tutte le inchieste aperte, dopo le multe, le sanzioni, forse è arrivato il momento di chiudere il sipario, di passare il comando ad altre persone. L’intero corpo di tirapiedi chiamati manager di cui Ligresti si è attorniato in questi anni, se ne dovrà andare, perché si è dimostrato per quello che in realtà era: gente che non ha ideali ma solo fini; quasi sempre inconfessabili.

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