Walter Mendizza – Fonsai ci riprova

In varie occasioni ho pubblicato alcuni articoli sul management nel nostro Paese, dividendo i dirigenti in due categorie: “buoni a nulla” e “capaci di tutto”, come usa fare Marco Pannella a riguardo del mondo politico italiano. Ho spiegato diverse volte che la società della conoscenza si è trasformata in società delle conoscenze, nel senso delle conoscenze che aprono le porte (o le alcove, fate voi) alle varie stanze da letto o dei bottoni, fa lo stesso. Sono le scorciatoie italiche. Quelle che ti paracadutano comodamente da qualche parte senza necessariamente avere alcuna patente di capacità di fare alcunché. Il management “vero”, quello più avveduto a districarsi tecnicamente nella giungla della competizione leale, è ormai sparito a favore di una dirigenza rampante che tecnicamente vale poco o niente.

In definitiva, il mondo si apre alla conoscenza e noi alle conoscenze. Non fa eccezione l’universo assicurativo che, nella mia esperienza, è uno di quei mondi altamente tecnici che devono più degli altri essere governati da gente che conosce il mestiere. In varie occasioni ho raccontato lo stato dell’arte nella vicenda del gruppo Sasa, dato incautamente in pasto alla FonSai di Ligresti, divoratrice di soldi, la quale mise a comando della compagnia, rappresentanti di entrambe le categorie manageriali: buoni a nulla e capaci di tutto. E fu subito sera. Un disastro. In breve la Sasa, finita nel gruppo Milano Assicurazioni, incominciò a collezionare, assieme alla casa madre e alla capogruppo, una serie impressionante di sanzioni (comminate dall’Isvap, l’istituto di vigilanza) alcune di esse addirittura da guinness dei primati. Per capire meglio, il 4 agosto del 2007 il Sole 24 Ore scriveva che il gruppo FonSai, nel solo mese di Giugno, (un mese quindi!) era stato percosso da sanzioni con ben 49 provvedimenti per un totale di oltre mezzo milione di euro di cui oltre 150 mila euro erano riferibili alla Milano Assicurazioni colpita da 19 sanzioni.

Tutto questo fu messo in evidenza dal sottoscritto già molti anni fa. Certo, alcuni potrebbero pensare che l’accanimento contro i figuri che occuparono la Sasa sia dovuto ad una sorta di rancore o di risentimento della vecchia classe dirigente di cui facevo parte. Un’animosità dovuta proprio al fatto che tutta la dirigenza fu cacciata a pedate dal nuovo management rampante e baldanzoso appena arrivato. Nulla di tutto ciò. Avevo detto e scritto nel 2001, l’anno della fuoriuscita dei dirigenti Sasa ad opera delle satrapie paracadutate, che per vedere i misfatti creati dai buoni a nulla (assieme ai capaci di tutto) ci sarebbero voluti una decina d’anni. Il tempo, come si dice, è galantuomo. In effetti sono passati esattamente 10 anni ed ecco il 15 gennaio scorso appare un articolo su Milano Finanza a firma del giornalista economico Bernardo Soave nel quale si dice che la Sasa, una delle divisioni di Milano Assicurazioni, potrebbe presto tornare in vendita. Il primo tentativo di cessione non era andato in porta perché il CdA di FonSai aveva giudicato insoddisfacente la proposta d’acquisto di Claudio Sposito, presidente e ad del Fondo Clessidra, presunto acquisitore di Sasa.

Il giornalista, Bernardo Soave, si domanda come mai il fondo Clessidra aveva offerto così poco per Sasa ed inoltre aveva chiesto una garanzia sulle riserve di 40 milioni. Buona domanda. E si risponde che ciò è dovuto ai risultati deludenti di Sasa che dal 2006 al 2009 aveva incrementato il rapporto sinistri a premi dal 64% all’86%. Inoltre, continua Soave, il combined ratio si è portato dal 90,7% al 111,8% con una previsione di 115% per il 2010. Il combined ratio è il rapporto tra sinistri più le spese rispetto ai premi di competenza. In breve, se è inferiore al 100 per cento significa che c’è redditività, mentre se supera il 100 indica che si è di fronte ad una perdita tecnica.

Infine il giornalista si chiede, come si è potuto verificare questo disastro? E la risposta che si dà è che Sasa è stata guidata da Giovanni Battista Mazzucchelli. Si tratta del personaggio che incredibilmente mi fece causa per diffamazione per aver raccontato dei fatti oggettivi sul mio sito, nonostante non lo avessi mai citato esplicitamente ma per cautela avevo provveduto a mettere solo le iniziali del suo nome. In effetti dice il giornalista che Mazzucchelli “ha realizzato una politica di espansione molto aggressiva e una selezione dei rischi assai disinvolta, puntando su territori a elevata sinistralità con una rete di agenti plurimandatari. A titolo di esempio, il 20 per cento dei sinistri di Sasa è concentrato sull’area di Napoli.” Beh, questa volta non lo dico io quindi non mi potrà querelare.

Come ho già detto, i giudizi di disvalore sul management di Ligresti appaiono oggettivi non solo perché accompagnati da congrue motivazioni, ma perché l’incapacità di quel management è venuta progressivamente a galla in una raggiera di comportamenti che hanno messo in luce una mediocrità generalizzata, organizzata per cordate, sorretta da un club di accesso esclusivo di adulatori garantiti dal nome di famiglia e da comportamenti spudorati di portaborse servili.

Per completezza di cronaca, debbo dire che il Mazzucchelli ha risposto “con vivo stupore” dicendo che si tratta di una critica davvero pesante, contenente affermazioni gravi e diffamatorie (ci risiamo). Poi si difende spiegando che nel 2001 Sasa registrava una perdita di 35,1 milioni di euro (non Sasa Vita però) alla quale si aggiungeva una perdita di 30,8 milioni dell’anno precedente e che quando se ne andò nel 2007 il bilancio riportava un utile di 12,1 milioni e il combined ratio era al 92,7% (dati del bilancio 2006). Utili che poi sono seguiti negli anni successivi.

Naturalmente non si fa cenno al gioco delle riserve di cui la FonSai è maestra come spiegato nei miei articoli precedenti. Quando Sasa fu venduta venne chiesto alla Cofiri (l’azionista di riferimento) la garanzia sulla tenuta delle riserve sinistri. La Cofiri, che di assicurazioni non ne capiva nulla, lo fece, senza alcuna salvaguardia, per cui i nuovi padroni insediatisi ai posti di comando incominciarono a denunciare grosse insufficienze delle riserve che, secondo loro e senza alcun contraddittorio, andavano, rimpinguate. Naturalmente tutti gli ammontari che venivano destinati all’aumento delle riserve andavano scomputati dal saldo prezzo che FONSAI doveva pagare per l’acquisto di Sasache, alla fine, venne acquisita quasi gratis. In proposito il giornalista Riccardo Sabbatini il 25 maggio del 2002 scrisse sul Sole 24 Ore un articolo dal titolo “Sasa (ex IRI) risarcisce la Sai”. Con le riserve ampiamente rimpinguate, a spese della Cofiri, i furbastri si erano costituiti indirettamente un “tesoretto” rappresentato proprio dalla sopravvalutazione delle riserve stesse. Essendo il management dell’Iri completamente a digiuno di assicurazioni, gli sprovveduti non pensarono, come detto, di mettere al momento della vendita una clausola che facesse riferimento al controllo sulla tenuta delle riserve. Ecco come sono apparsi miracolosamente gli utili negli anni seguenti, fruendo ampiamente delle riserve che venivano regolarmente abbassate.

Questo è il famoso gioco delle riserve, di cui FonSai è maestra. Già in un precedente scritto (Capitalismo predatorio e la peste italiana) avevo spiegato come funziona il gioco delle riserve. Il 19 febbraio del 2004, il giornalista Riccardo Sabbatini chiese a Marchionne (a.d. di FonSai): “Anche quest’anno l’utile della società sarà influenzato dalla volatilità delle riserve tecniche la cui riduzione lo scorso esercizio rese possibile il raggiungimento di un utile netto?”. Una domanda infida che contiene il sospetto tremendo di un reato: che gli utili della compagnia siano manovrati “ritoccando le riserve”. Fu in questo ambiente di “finanza creativa” che GBM imparò come si fa. Nello scritto “Brigantaggio assicurativo”, dicevo che Marchionne è un pacioso signore che come un falconiere col falcone lanciò in volo verso Sasa un signor nessuno nell’illusione che bastasse poi un fischio per richiamarlo e riporlo in gabbia. Solo che il signor nessuno non solo non tornò indietro ma si mise a volteggiare in cieli sempre più alti sfuggendo al controllo e alla vista del suo incauto mentore. Quando finirono i soldi del “tesoretto” dell’IRI (le riserve rimpolpate) prima che il CdA lo esonerasse, fece il salto della quaglia lasciando, oltre alla situazione economica così disastrata anche altre “tare” tra le quali la più rilevante, per le possibili implicazioni anche penali, quella riguardante la gestione del disastro aeronautico (ATR 4Z schiantatosi sulla montagna del Kosovo) dove perirono 24 persone. Per tale tragico avvenimento è in corso procedimento penale presso il Tribunale di Roma.

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