Walter Mendizza – Legge Basaglia, legge “canaglia”
Nel nostro Paese c’è poca consuetudine alla rendicontazione. Nella stragrande maggioranza dei casi nessuno si prende la briga di verificare alcunché in termini oggettivi. Perciò scoppiano i bubboni quando è ormai troppo tardi per fare qualcosa. Abbiamo una idiosincrasia verso il riscontro, la verifica e quindi quasi niente viene controllato: tesorieri di partito, manovre finanziarie, investimenti, leggi, decreti, ecc. Anzi, molte volte succede il contrario, per non andare ad intaccare qualcosa che notoriamente funziona male, la si lascia andare in putrefazione fino a quando non scoppia lo scandalo. E alle volte anche a scandalo esploso non si ha il coraggio di affrontare la questione oppure lo si fa superficialmente in modo da ottenere soltanto il consenso, che in definitiva è l’unica cosa che conta. Alla gente si dà a bere che si sta facendo qualcosa e il popolo bue si tranquillizza, semmai sarà qualcun altro a controllare.
Quanti mesi sono trascorsi dal solenne impegno dei presidenti delle Camere per la riforma del finanziamento ai partiti? Ma poi, chi se lo ricorda più questo impegno?
Una delle più clamorose leggi che hanno operato nella produzione di consenso e che invece ha solo causato disastri, morti, feriti e vittime in generale, è stata la legge 180/1978 detta Legge Basaglia che sostituiva una legge del 1904 che era di gran lunga più garantista perché prescriveva requisiti più precisi e procedure più attente per il ricovero coatto del malato di mente. Infatti il primo articolo di quella legge recitava: Debbono essere custodite e curate nei manicomi le persone affette per qualunque causa da alienazione mentale, quando siano pericolose a sé o agli altri o riescano di pubblico scandalo e non siano e non possano essere convenientemente custodite e curate fuorché nei manicomi.
Che dire? Perfetta, pulita, specifica. Frutto di una mentalità liberale come quella dell’inizio secolo; di gran lunga più garantista dell’attuale Legge Basaglia. Poi venne il fascismo che si mangiò tutto ciò che di liberale ci fosse in Italia, e poi venne il dopoguerra con i suoi anni dominati dagli ideologismi. Ed è in questo clima ideologico che nasce la più grande porcata mai fatta sulle malattie mentali.
E’ vero che i manicomi erano uno scandalo, c’erano situazioni assolutamente deplorevoli dove vigeva il degrado più totale, ma la legge nel 1904 non c’entrava niente, Il problema era (come spesso nel nostro Paese) di uomini e di mezzi, della pessima amministrazione e del potere burocratico e politico usato male e per fini impropri che disapplicava sistematicamente la previgente legge. Come spesso succede nel nostro Paese, si pensò che bastava cambiare la legge per cambiare la realtà e invece di fare applicare le norme vigenti e intervenire con la politica sulla burocrazia e la cattiva amministrazione della psichiatria, si è fatto l’opposto, e cioè si è pensato “genialmente” di sgravare da ogni responsabilità giuridica l’intero sistema. In effetti si è utilizzato uno stratagemma ingegnoso: per superare la situazione si escogitò il concetto straordinario della non esistenza della malattia!
In effetti negando la malattia si risolveva il problema dei manicomi giacché non essendoci più la follia i matti semplicemente scomparivano e con essi anche il degrado in cui erano abbandonati, quindi di tutto quel deterioramento, di tutto quell’abbandono, non c’era più alcun colpevole: la società nel suo complesso era colpevole, come dire: lo siamo tutti e quindi non lo è nessuno. E questa intuizione liberatoria ebbe ancora un’altra drammatica conseguenza, quella di far nascere “psichiatria democratica” e di consegnare a poco a poco la psichiatria in mano alla sinistra. In un recente convegno tenutosi a Trieste, gli attuali esponenti e alfieri del verbo neo-basagliano ebbero a dire senza alcuna remora che la psichiatria è di sinistra! Se qualcuno osa contestare i loro metodi basati sul falso ideologico dell’inesistenza della malattia mentale, viene tacciato di fascista e cacciato in malo modo dalle loro riunioni, anche se aperte al pubblico (vedi http://www.byoblu.com/post/2012/06/15/MALATI-DI-MENTE.aspx), perché in realtà i loro incontri sono autocelebrativi e non vengono mai presentati i casi eclatanti di morti e suicidi, e addirittura le statistiche dei suicidi vengono “futizzate” come si dice a Trieste, cioè i numeri che pubblica il giornale locale Il Piccolo (peraltro totalmente asservito al potere politico di sinistra) sono palesemente contraffatti.
L’idea basata sul fatto che uno schizofrenico non è un malato ma uno che ha un disturbo causato dalla società capitalista, è una sciocchezza sesquipedale, ma bisogna tener conto che gli anni ’70 erano anni fortemente ideologizzati. Tuttavia è fuori dal mondo continuare oggigiorno a predicare che il malato mentale non è un malato ma un “disturbato”, che non lo si cura ma lo si “riabilita”, che non ha un’infermità ma un “disagio transitorio”. Un lessico curato nei minimi particolari per nascondere la verità: Italia è l’unico Paese dove i morti per malattia mentale sono aumentati del 600 per cento (statistiche ufficiali della WHO World Health Organisation) e c’è un elenco sterminato di giovani zombie vittime di TSO continuati.
Nel 2003 una indagine Eurispes ha svelato che in media ci sono stati, nel triennio precedente l’indagine, 125 delitti famigliari all’anno provocati da soggetti squilibrati. Supponendo una uniforme distribuzione di tali delitti nel tempo, si può tranquillamente dire che da quando è stata istituita la legge 180, oltre 4.000 famigliari di malati sono stati assassinati dai loro congiunti psicotici e che i feriti sono stati mediamente 6.000 l’anno, che per 35 anni fa la bazzecola di oltre 200 mila persone ferite. Un vero e proprio bollettino di guerra. Ma i basagliani negano l’evidenza e ciò probabilmente dipende dai lauti profitti che si generano a danno dei malati.
Se finora l’edificio della 180 non è crollato lo si deve ai manicomi giudiziari e al sistema carcerario che ospita una percentuale elevatissima di malati di mente. La giusta battaglia radicale per l’amnistia è in qualche modo anche una battaglia contro questa psichiatria politica e contro i proibizionismi in generale, dato che è anche proibito avere qualsiasi disturbo mentale, pena un trattamento sanitario obbligatorio. Bisogna mandare nel magazzino delle anticaglie questa odiosa legge che deresponsabilizza tutti e che ha fatto solo danni.
Già che abbiamo toccato il trattamento sanitario obbligatorio (TSO) dobbiamo accennare ai criteri per trattamenti psichiatrici contro la volontà dei pazienti. Nel contesto normativo attuale chiunque potrebbe essere sottoposto a un TSO ed è ovvio che ciò si presta per rendere innocue persone fastidiose e non allineate, mettendo ancora di più la psichiatria al servizio del potere politico. Vecchi casi come quelli di Scandicci dove si fece avanzare una corsia autostradale a suon di siringhe alle persone che si opponevano allo sgombero, o al pittore Michele Puglia colpevole di essere sé stesso, ma anche recenti avvenimenti assurti agli onori della cronaca, di TSO fatti a personaggi importanti e addirittura a magistrati della procura di Roma (vedi il caso Paolo Ferraro) perché indagavano su cose dove evidentemente non dovevano mettere il naso, ne sono una palese dimostrazione.
Infine a far cadere tutta l’impalcatura basagliana sovviene uno studio congiunto delle Università di Chieti e di Parma che ha evidenziato le anomalie cerebrali degli schizofrenici dimostrando finalmente che la malattia mentale è una malattia cerebrale. Anche le attuali tecniche di indagine mediante neuroimaging stanno producendo metodi scientifici di assessment dei parametri per valutazioni psichiatriche. Quindi non c’è socializzazione che tenga, con buona pace di tutti i neobasagliani che si deresponsabilizzano e ci campano pure. Non è rispedendole nelle famiglie che queste persone si curano, né con i TSO continuati e soprattutto non è negando la gravità della patologia cerebrale o cambiandone il lessico. Per psichiatria democratica lo schizofrenico non ha bisogno di cure mediche ma solo di essere liberato dallo stigma della società capitalista, ha bisogno – come dicono loro – di essere “risocializzato”, concetto prodigioso come quello di essere “restituito al territorio”. Queste sono le parole che vanno di moda; se invece qualcuno si azzarda a parlare di istituzionalizzare il malato viene assalito con l’accusa idiota di voler “riaprire i manicomi”. Uno slogan demenziale.
In un altro momento parlerò dell’altra istituzione che completa sul piano ideologico la negazione della malattia e che fa quadrato attorno a questo stato di cose. Mi riferisco alla legge sugli amministratori di sostegno. Un paio di anni fa la giudice Gloria Carlesso parlò di un fabbisogno a Trieste di 25.000 amministratori di sostegno. Il dieci per cento della popolazione! Quasi il 50 per cento degli anziani. Se si pensa che un ads può vendere la casa a un anziano o altri beni immobili se lo ritiene opportuno (come peraltro è già accaduto) si intuisce il giro d’affari che sta dietro questa legge, anche se magari nelle intenzioni originarie poteva essere una buona cosa. Lancio una perla di riflessione: ma com’è che non si è mai voluto definire il concetto di “menomazione” che può dar luogo alla nomina da parte di un giudice dell’ads? In linea teorica anche un’unghia incarnita è una menomazione e il giudice potrebbe – data l’eccessiva discrezionalità della legge – decidere per l’assegnazione di un ads di fronte a una tale “menomazione”.
E’ arrivato il momento di tamponare le falle di un sistema a senso unico. Ritengo sia assolutamente necessaria la costituzione di un’associazione radicale di stampo antibasagliano e antipsichiatrico che permetta di mostrare un altro punto di vista sul tema perché mai come in questo caso la dialettica è tanto importante. Un’associazione che miri oltretutto a mettere un freno all’associazionismo parolaio e predatorio di sinistra e che appoggi la riforma della sanità soprattutto là dove si voglia dare la possibilità ai giovani psicotici di essere curati con efficienza ed efficacia e non con superstizioni che li portano alla zombizzazione forzata. Se non altro i cittadini potranno sentire un’altra campana dato che da anni non si fa altro che glorificare Basaglia e la psichiatria di Trieste.
Sul nostro quotidiano Il Piccolo non c’è giorno che non ci sia un’autocelebrazione dei fantomatici grandi risultati della nostra psichiatria. Risultati che non solo non ci sono ma che se appena si andasse ad analizzarli si scoprirebbe che la realtà è diametralmente opposta. L’adozione di metodi scientifici, di protocolli, di obiettivi idonei alla verifica e al confronto serve anche ad evitare l’eccessiva discrezionalità con la quale taluni soggetti utilizzano la psichiatria per praticare favoritismi e indulgenze a spese della società. E’ già avvenuto, sta avvenendo e continuerà se non ci mettiamo un freno. Bisogna fare in modo che la scienza e la ragione riprendano il loro cammino.