Psichiatria, Carcere e Droga: il male nel proibizionismo
Ci sembra importante riuscire a dare un contributo per il prossimo Congresso di Radicali Italiani anche nell’ambito dell’offerta del direttore del giornale “Notizie Radicali” di uno spazio di riflessione, confronto e dibattito per il Congresso. Scopo di questo articolo è quindi il desiderio di rispondere all’appello di Valter Vecellio sul “cosa suggeriamo, cosa proponiamo e cosa pensiamo che debba essere fatto”.
Un buon punto di partenza potrebbe essere definire con un neologismo efficace il problema che vogliamo sottoporre all’attenzione del Congresso; il neologismo è Tossicoiatria. I contorni della tossicoiatria (psichiatria, carcere e droga) è enunciato nel titolo di questo intervento che pone in evidenza la stretta parentela tra la psichiatria, la questione droga ed il problema carcere. Potremmo dire che esse sono cugine di primo grado. Infatti il proibizionismo che le include, che le implica, è il medesimo; nel senso che leggi proibizioniste che le sottendono, permettono la declinazione di una violenza istituzionale che è funzionalmente orientata alla neutralizzazione di comportamenti “scomodi” rispetto una normativa che continua a mantenersi allineata ad una struttura di potere che nel passato è stata caratterizzata come Capitalista e che oramai preferiamo definire Vettoriale per l’astrazione dei beni che predilige amministrare (informazioni, manipolazione mediatica, strumenti monetari, libero mercato…).
Molte sono le regole proibizioniste che orientano le pratiche istituzionali della psichiatria o del carcere: il TSO ad esempio (trattamento sanitario obbligatorio) è la pratica proibizionista per antonomasia dato che nonostante le garanzie “politiche” (deve essere firmato dal sindaco) è il più delle volte privo di specificazioni che lo possano legittimare; anche la penalizzazione del consumo di sostanze stupefacenti fondato sulla discriminante della quantità rilevata è una pratica proibizionista, così come la mancata applicazione delle misure alternative oppure ancora l’odioso monopolio legalizzato dei trattamenti sostitutivi per la tossicodipendenza, sono tutti aspetti dei precetti proibizionisti che ispirano, appunto, le pratiche istituzionali psichiatriche, carcerarie o delegate al trattamento della tossicodipendenza.
La Psichiatria e la “Tossicoiatria” si presentano come pratiche delegate alla cura, laddove al contrario prevalgono fin troppo spesso la contenzione, il controllo comportamentale, la violazione dei diritti civili, l’assoggettamento di ciò che viene percepito e definito deviante. Purtroppo la psichiatria ha stravolto il senso proprio della malattia quale sofferenza psichica per trasformarla prima in rivendicazione libertaria e in denuncia politica e poi in controllo comportamentale. Oggigiorno si può ben dire alla von Clausewitz che la psichiatria è la politica condotta con altri mezzi. Ecco dove i Radicali possono intervenire.
Certo, il carcere come contenitore che straripa di detenuti sembra un problema più urgente così come l’amnistia per la Repubblica. Ma questa urgenza è solo apparente perché è dovuta al fatto che il carcere è rimasto indietro, per così dire, rispetto alle altre due “cugine”, che si sono aggiornate, nel senso che si sono territorializzate e rafforzate nel loro stile di intervento. Il manicomio come contenitore non esiste quasi più se non nella versione più “incestuosa” con il carcere, il manicomio giudiziario; anch’esso in via di trasformazione. Lo stesso per la “Tossicoiatria” che si è aperta ad altre figure professionali ed ha “ammorbidito” le sue pratiche terapeutiche.
Però il cuore del sistema rimane lo stesso. Il livello “macroistituzionale” – normativo – rimane rigidamente proibizionista, e rimanendo tale, continua a permettere e legittimare pratiche più o meno evidentemente distruttive delle soggettività su cui si articolano. Perciò questi tre ambiti sono fortemente interfacciati, malati psichiatrici in carcere, tossicodipendenti nei centri di salute mentale o anch’essi in carcere, criminali nelle comunità terapeutiche ecc.
Viene da chiedersi: cui prodest? A chi giova? Quale tornaconto c’è? E’ fin troppo facile rispondere: c’è il tornaconto economico con il mercato nero della droga, con gli apparati istituzionali che recuperano occupazione, con le industrie del farmaco. C’è la convenienza dell’amministrazione del potere, da una parte c’è una psichiatria che si sta facendo sempre più politica e dall’altra c’è una magistratura che corre il medesimo rischio, ad esempio attraverso la nomina di centinaia di avvocati come amministratori di sostegno. I due potentati (psichiatria e magistratura) quando si mettono assieme e lavorano in sincronia sono invincibili. Solo la politica potrebbe limitarli, ma la politica è ridotta a pura fonte di denaro e impegnata a leccarsi le ferite degli scandali; per cui invece di andare a stanare gli zombies prodotti dalla psichiatria e avvallati dalla magistratura, i politici stanno tutti cheti cheti, rannicchiati a distribuirsi soldi e prebende sperando solo di non essere beccati. Ecco dove e perché ci vogliono i Radicali.
In questo clima di decadenza, tra Er Batman ed Er cinese, tra cene elettorali e feste con gladiatori e maiali, la “Tossicoiatria” sta conquistando gradatamente sempre più ambiti operativi (controllo sui lavoratori, verifica dei requisiti per la guida, microchip sotto pelle…). C’è un tornaconto collegato alla tutela ed alla salvaguardia di un ordinamento che definiamo, appunto, Vettoriale (Capitalismo avanzato – Ipercapitalismo), che è caratterizzato da dinamiche in un certo modo “criptiche” e peculiari ad un sistema che si è evoluto, perfezionato in senso tecnologico e finanziario impensabile fino qualche decennio fa.
E tutto questo è potuto accadere sotto lo sguardo dell’opinione pubblica perché essa è prigioniera di un linguaggio retorico e seducente proveniente dagli anni ’70: la malattia è un’invenzione del potere repressivo e la diagnosi è un indicatore dello stigma. Sotto l’impianto ideologico egualitario si è creata un’operazione demagogica e mistificante che nega la malattia ma anche la diagnosi, e ha portato avanti una praticoneria sradicata da qualunque assunto teorico. Questo ha permesso un pericoloso gioco di rinforzi che è stato il lasciapassare per criminalizzare i vecchi operatori (additati come aguzzini) e quindi manipolare i malati e i loro familiari.
In questi frangenti, spesso la strada psichiatrica è un percorso di istituzionalizzazione delle persone più deboli, presunti malati che vengono trattati come bestiame, nel senso che vengono sedati e tenuti zombizzati perché rappresentano una fonte di reddito e danno lavoro alle cooperative che sostituiscono la cura con l’accudimento. Un percorso tipo può essere riassunto così: prima ti dicono che sei depresso, poi che hai un disturbo dell’umore, poi invece si scopre che il disturbo è bipolare, poi ti diagnosticano una schizofrenia e infine una schizofrenia paranoide … insomma nessuno sa di che cavolo parla però alla fine la vittima predestinata viene fiondata in TSO per poi essere istituzionalizzata. Come bestiame di allevamento. Oppure hai un problema con sostanze illecite, vieni arrestato, messi in carcere (magari massacrato di botte e ucciso); oppure ancora hai una dipendenza da oppiacei e non riesci a seguire il regime di trattamento che ti propongono, cronicizzi la tua situazione, perdi il lavoro e magari ti ammali pure di Aids…
E questo è il vero male di tutti i proibizionismi che si sostanzia dapprima nel proibire in modo da creare la vittima, poi essa viene sacrificata a favore delle istituzioni che oltretutto si avvantaggiano pure. Ecco l’importanza delle lotte radicali ai proibizionismi: aprire gli occhi alla gente per scansare il peronismo straccione della tossicoiatria che si affaccia al balcone per essere applaudito dalle folli gaudenti.
Andrea Michelazzi, Walter Mendizza