Carcere, metà reclusi in attesa di giudizio
IL MESSAGGERO VENETO (Pordenone) 10/01/2016 – Carcere, metà reclusi in attesa di giudizio
Su 58 detenuti, solo 32 condannati con pena definitiva. In aumento i casi di autolesionismo, pochissimi riescono a lavorare
I numeri non sono più quelli della famosa ordinanza Bolzonello – quando il Castello ospitava più di 80 persone –, ma il carcere di Pordenone resta sovraffollato. E quasi un detenuto su due non ha una pena definitiva. Uno su quattro è ancora nella condizione di imputato, non può contare nemmeno su un giudizio di primo grado. Ad accertare la situazione è stato Stefano Santarossa, rappresentante del comitato nazionale di Radicali italiani, accompagnato dall’avvocato e simpatizzante, Luca Cesaratto. Per un disguido burocratico, invece, non ha potuto accedere alla struttura la consigliera del Fiume Orsola Chiaradia. «Il carcere è comunque in regime di sovraffollamento – spiegano Santarossa e Cesaratto – perché i posti regolamentari sono 38.
Sul futuro e il trasferimento a San Vito non ci sono novità nè tempi. Come emerge un po’ ovunque nelle strutture più piccole il livello di vivibilità è comunque migliore, ma restano una serie di problematiche». Il regime di celle aperte, secondo i radicali, ha migliorato la situazione, ma mancano spazi vitali. «Tentativi di suicidi non ce ne sono stati nell’ultimo anno ma tra il 2014 al 2015 i casi di autlesionismo sono passati da 4 a 9 e sono quindi in crescita» rimarca Santarossa scorrendo il questionario che è stato compilato alla presenza del direttore, Alberto Quagliotto. Non si registrano aggressioni alla polizia penitenziaria che comunque ha numeri sottodimensionati rispetto agli standard previsti: su 59 agenti in pianta organica gli effettivi in servizio sono 42. «Al piano terra ci sono cinque celle per 12 detenuti comuni, gli altri sono detenuti per reati sessuali».
Due carcerati hanno lavorato per trasformare una cella in ambulatorio mentre il vecchio ambulatorio è diventato una biblioteca. Ma proprio il lavoro è la nota dolente. Se i detenuti in semilibertà sono quattro, solo due persone lavorano all’esterno del carcere (tramite la cooperativa Oasi) mentre sono 11 quelle coinvolte all’interno per la quotidianità, dalle pulizie alla cucina. Il tema vero è dare un senso al tempo della detenzione, creare un vero percorso di recupero che mostri un’alternativa al carcere. I progetti alternativi riguardano la lingua. «Tre detenuti stanno studiando per conseguire la licenza media. Da insegnante – spiega Santarossa – ho proposto che ci si attivi per verificare se si possa dare il via a un percorso con le scuole serali per chi vuole diplomarsi». Una prospettiva che oggi sembra un miraggio.