In città oltre metà dei detenuti senza una condanna definitiva

IL MESSAGGERO VENETO (Pordenone) 07/11/2018 – In città oltre metà dei detenuti senza una condanna definitiva

Visita in carcere della radicale Rita Bernardini, reduce da uno sciopero della fame
I reclusi sono 62, la capienza regolamentare è di 38. Pochi i posti di lavoro interni

Ilaria Purassanta

Un carcere sovraffollato, con «gravi carenze strutturali», ma una «dimensione umana e familiare»: è la fotografia del Castello di Pordenone restituita da Rita Bernardini, esponente del Partito radicale, già deputata della XVI legislatura. Reduce da uno sciopero della fame di tre settimane, Bernardini ha ottenuto infine un incontro con il ministro della giustizia per parlare della situazione penitenziaria in Italia, «sempre più allarmante». Rispetto ad altre carceri della penisola, a Pordenone si sta meglio. Chi ha visto le carceri del sud le ha raccontato: «Voglio stare qui, perché non ci sono paragoni».Al Castello sono ospitati 62 detenuti, quasi il doppio della capienza regolamentare, che ne prevederebbe 38.

Solo 27 stanno scontando una sentenza definitiva, tutti gli altri sono in custodia cautelare. Più della metà, dunque, è dietro le sbarre in attesa della sentenza. Condividono i letti a castello a tre piani nelle celle 36 italiani e 26 stranieri. Le nazionalità estere più rappresentate? Pakistani, afghani, romeni, nigeriani. Ci sono 40 protetti, ovvero che hanno commesso reati a riprovazione sociale: sex offender, collaboratori di giustizia o ex appartenenti a forze dell’ordine. L’esponente del Partito radicale ha sottolineato che si tratta di «una vecchia struttura riadattata a carcere, molto fatiscente, con pochi spazi per le attività finalizzate alla rieducazione del condannato».

Bernardini ha elencato le carenze: wc alla turca nelle celle, docce esterne, bocche di lupo alle finestre che impediscono all’aria e alla luce di entrare. Ci sono solo 11 posti di lavoro in carcere. Un detenuto iracheno che si è inferto ferite sulle braccia ha raccontato che da due anni chiede di lavorare: gli servono i soldi per chiamare il bimbo all’estero. Spende 10 euro per dieci minuti. «Comincia la scuola e mi ha chiesto un paio di pantaloni, perché non li ha. E io non glieli posso regalare», il padre era disperato. Anche il Castello patisce un problema comune a tutte le carceri: la necessità di dare una sistemazione adeguata ai casi psichiatrici, divenuti tali durante la detenzione. L’onorevole ha intenzione di sollecitare un “piantone” (il detenuto che aiuta un altro non autosufficiente e viene pagato per tale lavoro) per un anziano costretto a letto dalla sua malattia.Fra le note positive il buon rapporto con gli agenti e con l’ispettore superiore, «una persona straordinaria», lo spazio infermeria, le associazioni di volontariato, l’impegno del cappellano Piergiorgio Rigolo, l’umanità, le celle aperte fino alle 18.

Alla visita, promossa dal Lions club Pordenone Naonis hanno partecipato gli avvocati Pierfrancesco Scatà (presidente del club), Rosanna Rovere (Ordine degli avvocati) e Roberto Lombardini (Camera penale), Giovanni Parisi (Pr) e soci del Lions. Dopo il carcere la delegazione ha visitato la mostra dei quadri dei detenuti nel carcere di Tolmezzo allestita al day hospital di Pordenone.«L’iniziativa – ha raccontato Scatà – nasce dalla volontà della nostra associazione di rendere un servizio alla collettività, stimolando e mantenendo alta l’attenzione sulla realtà delle nostre carceri, troppo spesso dimenticata nel dibattito politico e pubblico».

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