Le ragioni del NO al referendum costituzionale
Le ragioni del NO al referendum costituzionale
di Patrizia Giacone
Il tema del prossimo referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari introdotto con la riforma Fraccaro è avvolto da una spessa coltre, prima di silenzio e ora di disinformazione, anche sfacciata, a neanche venti giorni dalla votazione.
Tutto questo tradisce un disprezzo da parte della classe politica nei confronti di noi elettori.
Come è già stato da più parti sostenuto a gran voce, la cosiddetta riforma Fraccaro, approvata lo scorso 8 ottobre 2019, in realtà non è una riforma in quanto consiste soltanto nel taglio lineare di più di un terzo (36,5%) dei parlamentari in ciascuno dei due rami del Parlamento (corrispondenti a quasi la metà dei parlamentari previsti dai Padri Costituenti) facendo dell’Italia il paese europeo con il minore numero di rappresentanti in Parlamento.
Il motivo dichiarato di questo taglio lineare è quello del risparmio economico che però appare davvero trascurabile e per giunta non incide in alcun modo sul costo del personale dipendente al servizio dei parlamentari, che è molto più alto di quello degli altri paesi.
Se il vantaggio economico di questo taglio è trascurabile, non lo è certamente il danno che ad esso si accompagna in quanto esso indebolisce la capacità di rappresentare in Parlamento le diverse forze politiche e i diversi territori, pregiudicando in tal modo l’equità e il pluralismo di questa funzione cruciale di rappresentanza. Come è ormai ben noto, la riduzione dei collegi comprometterà la omogeneità della popolazione elettorale e ridurrà la possibilità di rappresentanza delle minoranze linguistiche, aspetto quest’ultimo particolarmente rilevante in Friuli Venezia Giulia. L’oggettivo indebolimento di questi due fattori comporterà poi una maggiore discrezionalità nel disegno dei perimetri dei nuovi collegi elettorali, che potrebbe indebolire il diritto di rappresentanza delle coalizioni minori.
Il taglio lineare dei parlamentari appare, piuttosto, un pretesto che copre, e quindi nasconde i due veri motivi non dichiarati di questa riforma.
Il primo motivo si fonda sull’idea, di matrice populista, dell’inutilità della democrazia parlamentare nelle forme stabilite dalla nostra Costituzione, come traspare da alcuni slogan a sostegno nella riforma Fraccaro quali “i parlamentari presentano troppi emendamenti”, che tradiscono una sostanziale sottovalutazione/incomprensione delle finalità del dibattito parlamentare. Secondo questa idea, la rappresentanza democratica andrebbe sostituita dalla identificazione tra governanti (leaders) e governati (popolo) con gravi conseguenze sullo stato di diritto. Oppure, nella variante 5Stelle, da una fantomatica democrazia diretta (da qualcuno, ha aggiunto un parlamentare buontempone).
L’altro motivo della riforma è l’attuale deriva partitocratica della nostra democrazia parlamentare. Già allo stato attuale il Parlamento è depotenziato, l’iniziativa legislativa è del governo con i decreti legislativi. Fioccano i voti di fiducia, le mozioni parlamentari deboli e i decreti omnibus. Invece di curarlo si mina la rappresentatività del Parlamento e lo si trasforma in una larva. Il taglio dei parlamentari va trionfalmente nella stessa direzione.
Non è un caso, allora, che la riforma Fraccaro si sia limitata al solo taglio dei parlamentari, puntando al semplice risparmio di spesa, senza divenire una riforma seria delle funzioni del Parlamento, al di là di una generica ma non dimostrata asserzione che proprio questo taglio ne migliorerà l’efficienza.
Come sostenuto da diversi costituzionalisti, si sarebbe dovuto piuttosto eliminare il bicameralismo paritario (perfetto) per cui in Italia, caso unico tra gli stati europei, Camera e Senato svolgono le medesime funzioni (mentre negli altri paesi in cui esiste il bicameralismo esso presenta una struttura diversificata).
Ancora più grottesco però appare il fatto che ci si è ben guardati dal correggere con questa riforma le evidenti tendenze oligarchiche rintracciabili nella selezione dei parlamentari restituendo la scelta dei candidati agli elettori, come indicato a più riprese dalla Corte Costituzionale. Allo stato attuale, essendo i parlamentari nominati dai capi di partito e ridotti a ratificare le scelte dell’esecutivo – come questa fase di Covid ci ha fatto vedere con evidenza accecante – in caso di vittoria del sì al Referendum l’effetto sarà inevitabilmente quello di peggiorare il funzionamento del Parlamento mettendo a rischio la democrazia.
Articolo inviato a IL PICCOLO ma non pubblicato